La Galleria 1000eventi ha il piacere di annunciare l’inaugurazione della mostra collettiva
Questi fantasmi!
Inaugurazione martedi 21 settembre 2004 dalle 18.30 alle 21
Questa è una mostra nata davvero per caso, sospinta e incoraggiata, nel breve periodo della sua messa a punto, da una naturale e spontanea disponibilità degli artisti a prendervi parte.
Una mostra che si è concretizzata in poche ore nel pomeriggio di
sabato 29 maggio 2004, a stretto giro di alcune telefonate (Martegani, Cingolani, Cabiati, Ozmo, Abbominevole, Campanini, Pessoli, Calignano), e nel giorno successivo (Dellavedova, Serse, Bazan, De Grandi, Mezzaqui, Mastrovito!) e che in pochi giorni si è arricchita di ulteriori presenze : De Ponti, Verlato, Chierici, Lombardelli, Spoldi, Pietrella, Chiappino, Grasso (in alcuni casi anche di artisti molto giovani, quasi agli esordi) .
Il giorno precedente mi ero permesso di segnalare a Giuseppe Pero la bravura di alcuni giovani artisti (Ozmo, Abbominevole, Andrea Mastrovito) presenti alla mostra del maggio scorso allo spazio Assab One, curata da Roberto Pinto, e pochi giorni dopo esposti anche nella mostra The Black Album, curata da Luca Beatrice per la Galleria Antonio Colombo, sempre a Milano.
Assieme a Calignano, altro giovane artista per il cui lavoro ho un debole, questa ristretta compagine mi è subito parsa quanto di più interessante e non omologato stia attualmente approdando e rifiorendo in una città che negli ultimi tempi aveva premiato soprattutto il solito diluvio conformistico.
Parlo di quei fenomeni sempre più frequenti nei meccanismi della comunicazione di massa, sia essa d’arte contemporanea o altro, che si rafforzano grazie alla pigrizia intellettuale e al provincialismo di cui sono l’espressione più proterva, anteponendo cioè ideologicamente – chissà poi perchè ?! – l’armatura dell’opera d’arte, la sua (epi) – grammatica veste retorica e tecnica (e perfino tecnologica), al suo linguaggio intrinseco, al suo afflato.
Come se fosse sufficiente dotarsi di un campionatore di suoni per fare della musica contemporanea o scrivere in russo per vergare un grande romanzo storico! Preoccupazioni tipiche di una certa cortigianeria satellitare insomma, occupata ad incensare se stessa e la visione che intende accreditare del proprio ruolo sociale.
Siccome temo invece di appartenere a quella sempre più ristretta cerchia di idioti che si fa ancora sedurre e sorprendere dal talento degli individui e dalla magia della realtà , mi sono ricordato di possedere – nonostante rischi a tutt’oggi di attirare una nota di biasimo – , un mio gusto personale!
Il gallerista risponde: ma perchè non lo fai tu un progettino?
Bella domanda, e come? Come li metto insieme? E’ compito mio?
E a quale scopo? Ma quali caratteristiche potrebbero accomunarli? Domande quasi sempre più intelligenti delle risposte, il che è tutto dire.
Comincio a girovagare mentalmente attorno a quella schiatta di artisti con i quali ho condiviso tanto da un punto di vista generazionale quanto (forse) poetico i miei personali esordi: Cingolani, Martegani, Della Vedova!
E quindi ad alcuni cari amici ( Pessoli, Serse!) cui mi legano da anni stima e affetto.
In breve, ecco l’idea, o meglio il pretesto: una mostra sul disegno.
(Che noia!). No, aspetta ! Non una mostra di disegni, ma proprio sul disegno, come dimensione cognitiva e poietica (domando scusa ma qui ci vuole) del fare artistico, della pratica e del tempo dedicati a creare (idem).
Cominciano così, in un mare di dubbi, ad apparirmi le ragioni di una compagine tanto improbabile quanto ingiustificabile se non in virtù dei due criteri determinanti della mia scelta: il raggio d’azione (assai ristretto, per fortuna) delle mie relazioni personali (intendo proprio i numeri di telefono sulla mia agenda!) e il disegno, inteso come luogo e tempo prediletto dell’arte!
Si configurano così nella mia lista, un po’ controvoglia, dei ‘raggruppamenti’, dei luoghi del fare, che sfidano l’ovvietà di una catalogazione o teorizzazione, di artisti che esprimono attraverso il disegno alcune caratteristiche poetiche comuni, che si affidano a coordinate omogenee nella concezione o nella realizzazione del disegno.
Ecco allora un primo gruppo di artisti per i quali, molto semplicemente, il disegno sia proprio tutto, nel senso che trovano nella pratica del disegno l’alpha e l’omega della propria attitudine all’arte: Alessandro Pessoli, Serse, la coppia Abbominevole + Ozmo (quando fanno coppia, come in questa e spero sempre più numerose altre occasioni); ma anche il lavoro di Barbara De Ponti (conosciuto grazie a Laura Carcano e Luca Beatrice), autrice di disegni delicatissimi , di letterarie, cerebrali architetture.
In ciascuno di questi artisti, ma in modi assai vari e diversi, un certo disincantato virtuosismo, un’appassionata, strenua, ricerca dell’inessenziale; un ammirevole – a mio modesto parere – spregio per il tempo libero, nutrono l’opera e la sostengono fino alle sue estreme conseguenze , come se fosse possibile ritrovare solo sotto i polpastrelli la
corrente d’energia che dà origine a tutte le cose dell’arte. L’artista come demiurgo che ricrea ad ogni respiro un proprio mondo, sotto mentite spoglie.
Quindi un peloton di artisti, naturalmente pittori nel senso più rotondo del termine, come Marco Cingolani, maestro del più folle e trasognato realismo, come se la cosa più folle al mondo non fosse altro, appunto, che la Realtà .
Nicola Verlato, che riporta nel nostro tempo i fasti dell’arte manierista sostituendo a Gesù, alla Maddalena e a Giuseppe d’Arimatea, i corpi seminudi dei tifosi allo stadio di San Siro, che si ritrovano senza saperlo nella sacra violenza di un’immagine dell’iconografia cristiana, e dell’Arte universale, ovvero in una Deposizione del Cristo.
Francesco De Grandi, paesaggista di scenari terrificanti, e ritrattista di umanità allegramente perdute in una futura e ripugnante, patetica, dignitosa ma immonda brodaglia primordiale.
Alessandro Bazan, sarcastico, feroce dandy ed erotomane del disegno, autore di bellissimi ignudi femminili in cui pare quasi voglia vendicarsi della Bellezza della Donna, ritraendola nella sua più sfacciata
non-idealità . Un poeta ‘trovatore’, naturalmente!
Pierpaolo Campanini, raffinatissimo regista di un teatro della Pittura, artista visionario di raggelate scene di giocattoli umanoidi che ci hanno definitivamente sostituito nella Grande Scena del mondo.
Tutti costoro mi paiono artisti per i quali il disegno, pur nella sua totale autonomia, è lo studio della forma della pittura, la sua base e il campo di ricerca del segno, dell’apparizione che diverrà pittura.
Questo modo del disegno, come mi dice al telefono appunto Pierpaolo, in qualche maniera è un mondo di fantasmi, dal quale affiorano presenze che poi vengono ringhiottite, digerite dal procedere della pittura, ombre evanescenti che talora si fanno corpo e più spesso scompaiono, come riassorbite da un flusso ininterrotto di epifanie, ripensamenti, pentimenti ed entusiasmi.
Questi fantasmi, titolo rubato all’opera teatrale di Eduardo De Filippo, mi pare in un primo momento un bel titolo, per quanto i riferimenti letterari pecchino quasi sempre di ridondanza. Lo mettiamo tra parentesi? E se aumenta la ridondanza?
Artisti come Mario Dellavedova , Vincenzo Cabiati, Amedeo Martegani, Sabrina Mezzaqui , Pierluigi Calignano, Federico Pietrella ( e posso, anzi devo, aggiungere anche il sottoscritto), affrontano invece il disegno quasi sempre come un “progetto” , determinato e concluso, nelle sue intenzioni e nel suo approdo finale.
Sarà il dna concettuale o una semplice attitudine al masochismo, ma credo che ciಠche accomuni questi artisti quando si misurano con il disegno, sia la tendenza a problematizzare il rapporto tra i contenuti dell’immagine e la sua realizzabilità (l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità ! tecnica, guarda caso ) e a piegare quindi lo strumento tecnico, tradizionale o meno che sia, al perseguimento di un risultato in ragione del quale la tecnica è l’insostituibile linguaggio prescelto a rappresentare innanzitutto il fondamento di se stesso. Non si tratta di riconoscere un disegno, per esempio, a matita: ma la matita è, essa stessa, causa dell’unicità del disegnare che genera, e quindi diviene l’inesorabile medium del disegno, di quella immagine e quella soltanto. E’ una tautologia interiorizzata, memore di un rigore concettuale passato tuttavia attraverso un giogo faustiano, nel quale si affida alla Bellezza (o magari al fallimento del “progetto”) il riscatto da una logica filosofica, aristotelica, ineluttabilmente coercitiva: libertà di pensiero?
L’opera dunque, certo, ma nell’epoca della sua irriproducibilità
( o insensatezza ) filosofica, appunto.
Forse si spiegano anche così le elaborazioni paradossali dei disegni di
Federico Pietrella, che testimoniano lo scorrere del tempo nel suo più impersonale, didascalico dispiegarsi; o una certa pratica metodica e ossessiva, periodica come i cicli terrestri, ostinata come la tela di Penelope, nel lavoro di Sabrina Mezzaqui .
Per artisti come Vincenzo Cabiati , Mario Dellavedova o Amedeo Martegani, il rapporto privilegiato che periodicamente instaurano con il disegno diviene lo strumento di una filosofia dell’arte come ineluttabile destino delle immagini, che scelgono la propria materia elettiva, la propria “bella morte” suicida, il proprio sacrificio in un beau geste: una sorta di lingua esoterica, dotta, erudita. Si impone una precisione filologica, da lettori borgesiani, degni di una biblioteca di Babele dell’arte.
Di Pierluigi Calignano sono sempre più note e apprezzate le sculture, veri e propri disegni tridimensionali le cui sagome ritagliate, ipertrofiche, ostentano una ironica e struggente fragilità . Il disegno scorre attraverso le fasi del suo lavoro dunque, sembra costituirne l’ossatura, lo scheletro: immagine della vanitas, che infatti l’artista ama riprodurre in una capricciosa veste che sconfessa la drammaticità del mementum (monumentum).
Anche Andrea Mastrovito maschera e smaschera attraverso le sue sagome vuote le icone del tempo, siano esse scene erotiche tratte dal catalogo della storia dell’arte, o anche affatto erotiche ma altrettanto seduttive, reperti di incursioni voyeuristiche senza pietà , irrise dal loro labile, soffice , fragile perimetro che ne ridicolizza e intenerisce il senso.
Alessia Chiappino, tra i più giovani artisti qui presenti, attraversa la pratica, il Tempo della scrittura per creare dei patterns che trascendano il significato del testo, sublimandosi in forme geometriche assolute che ricompongono la dispersione ossessiva del tempo impiegato, l’utile inutilità della meditazione, l’angoscia del vuoto, il mantra dello svuotamento di sè, del senso stesso, in una sorta di mandala laico, un edificio di calligrafie privo di ingressi come di uscite!
Abbominevole e Ozmo fanno invece del puro libertinaggio artistico! Coppia di feticisti del dettaglio morboso, e sacerdoti dell’allucinazione, non si limitano a costruire veri propri cadaveri squisiti innestando fumetti osceni a figure rapinate all’iconografia medievale, barocca o rinascimentale, ma come dei Dottori Frankenstein cuciono assieme le membra rubate nottetempo nel solenne cimitero delle Immagini della Storia dell’Arte per dare vita al loro personalissimo monstrum; al tempo stesso ne descrivono in ogni minuziosa parte l’anatomia, dissezionandone i muscoli e le ossa e disperdendoli nello spazio, sui muri, come rincorrendo idee che sfuggono ad un’ormai irreperibile origine.
Ho visto nel video di Sabina Grasso il fantasma del disegno, un volto che disegna se stesso allo specchio, la sagoma degli occhi e della bocca che lentamente prendono forma: il gesto primigenio del disegnare, il trucco sul proprio volto, pronto a trasfigurarsi negli spiriti della foresta, o pronto alla guerra, ad appropriarsi dell’altro, che abbiamo dinanzi, del morto, del fantasma. E del fantasma di tutti i fantasmi: Narciso che si innamora della propria Apparenza.
Non potevamo privarci della presenza del fantasma di Narciso, ultimo arrivato verso fine giugno a completare una rassegna di opere che, nel momento stesso in cui scrivo, non abbiamo idea di come riusciremo ad esporre, tutte quante, sui muri della galleria.
Forse il risultato sarà un po’ affollato?
Ma non importa se ci sarà confusione, del resto io non sono un critico, e questa forse non è nemmeno una mostra! Non devo certo fare ordine in niente nè garantire metri quadri o lineari ai partecipanti (!a proposito, un consiglio ai critici professionisti: piantatela!).
Attendo con ansia e curiosità i disegni sottomarini di Elisa Chierici, le sue piovre e calamari giganti,degni di un romanzo di JulesVerne, che ci trasportano attraverso un disegno morbido e sensuale in un mondo fluttuante, incerto, vischioso, tra le pulsioni inconsce e le paure di un altro mondo.
Aspetto di vedere le future invenzioni di Carlo Spoldi che compone scenari di spiagge e impianti balneari come elaboratissimi, e al tempo stesso primitivi, videogames, nei quali la nostra umanità sembra ridotta alla più demenziale delle alienazioni, ad un gioco ( la vita) dal quale ci attendiamo ormai solo un punteggio.
Infine i fugaci paesaggi, polaroid mentali, di Michele Lombardelli; sorta di minuscoli appunti dei suoi viaggi americani, tracciati come sul retro di un pacchetto di sigarette o sul biglietto del treno. Orme di un rapido passaggio in cui la vita è sostata, per un attimo, a voler esprimere qualcosa di indicibile, e che proprio per ciಠsceglie di parlare attraverso un’assenza: il fantasma sono forse io?
Questi fantasmi inaugura, credo e spero, un percorso in più tappe, che ci vedrà presto replicare altrove questa formula, secondo la quale un artista si incarica pro tempore di costruire un progetto espositivo attraverso un proprio itinerario immaginario nel mondo del disegno.
Per quanto mi riguarda, e a scanso di equivoci, ho pensato fosse corretto prendere, seppure con discrezione massima, parte all’esposizione . Per non insospettire nessuno circa l’eventualità mi sia venuta voglia di fare il curatore, anzi: dando seguito all’opinione di Paul Valery, secondo la quale “nella misura in cui un artista è un soldato, un critico non potrà essere altro che una spia”, lascio al prossimo malcapitato questa postazione di dolore e telefonate.
E torno in trincea.
Massimo Kaufmann
Catalogo disponibile in galleria
Inaugurazione martedi 21 settembre 2004 dalle 18.30 alle 21
La mostra resterà aperta fino al 25 ottobre
Orario mostra da martedi a sabato 14,00-19,30
1000 Eventi
Via Porro Lambertenghi, 3
20159 Milano